“È giunto il momento di scrivere un nuovo manifesto delle relazioni tra l’Italia e l’Africa”: con queste parole Emilio Ciarlo, responsabile dei Rapporti Istituzionali e Comunicazione dell’Aics, ha ribadito venerdì l’importanza della Cooperazione per approcciare i Paesi africani in un’ottica di integrazione e in un rapporto di stima e fiducia, durante i lavori della IX edizione di Blue Sea Land, quest’anno interamente trasmessa in modalità digitale per via della pandemia. Un concetto condiviso da Antonino Carlino, Presidente del Distretto della Pesca e della Crescita Blu, che ha inaugurato la sessione intitolata “Quale partenariato per l’Africa?” ricordando che “La cooperazione in Africa è la prima missione del Distretto della Pesca”.
Blue Sea Land, Expo dei Cluster del Mediterraneo, dell’Africa e del Medio Oriente, ha sempre dedicato un’attenzione particolare all’Africa, con l’obiettivo di sviluppare cooperazioni diplomatiche, scientifiche ed economiche fra gli operatori delle aree coinvolte, nonché modelli di sviluppo estesi a tutte le filiere produttive, dall’agroindustria al manifatturiero, nel rispetto degli aspetti ambientali e culturali. Un appuntamento, quello del Blue Sea Land, tanto più di rilievo che “l’Africa sarà la prossima destinazione della Blue Economy”, come lo ha affermato Massimo Zaurrini, Direttore del mensile Africa e Affari e moderatore dell’incontro.
Eppure, ha osservato Eugène Nyambal, economista presso il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), l’Africa continua ad avere una scarsa percezione della presenza italiana nel continente. L’Italia – ha proseguito l’economista camerunese -, con le sue specifiche competenze (in ambito agricolo, industriale, edile, tessile, automobilistico, ecc.) e con le forti similitudini che esistono tra le sue piccole e medie imprese e le aziende di impronta familiare dell’Africa, potrebbe sviluppare partnership di peso con il Continente, chiamato a non dipendere più dall’export, a diversificare le rispettive economie, e a valorizzare le catene di filiere direttamente sul territorio, con l’aiuto di tutti i mezzi, dalle tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione alla Logistica, dalla Formazione alla creazione di zone economiche speciali e cluster industriali per attrarre investimenti dal mondo intero.
Se è vero che la crisi Covid e le distorsioni che ha fatto emergere nelle catene di valore possono diventare uno stimolo per l’Africa a privilegiare i prodotti locali e gli scambi intra-africani, Ciarlo ha tuttavia chiamato a sostenere una nuova economia composta da distretti e da attori locali per non imbattersi nell’isolazionismo dei continenti, possibile rischio legato alla pandemia. Da qui il ruolo della Cooperazione italiana – ha sottolineato Fabio Melloni, Titolare della sede Aics di Nairobi – il cui lavoro è incentrato sulla microeconomia, investendo essenzialmente in incubatori di imprese, con la priorità data alle fasce vulnerabili (giovani e donne).
Senonché manca in Italia una volontà politica per riformare la cooperazione e adattarla con le realtà locali, nella fattispecie con la dimensione vernacolare delle economie africane, ha fatto notare il Presidente del Centro Relazioni con l’Africa (Cra) della Società Geografica Italiana, Jean Léonard Touadi, sottolineando la forte domanda di formazione registrata nel Continente, impaziente di affacciarsi ai mercati globali. A fargli eco, Eliana La Ferrara, del Laboratorio per Politiche di lotta contra la Povertà (Leap, Laboratory for effective anti-poverty policies), inaugurato nel 2016 dall’Università Bocconi per sostenere la crescita nei Paesi poveri con la raccolta di dati originali attraverso una rigorosa ricerca scientifica, rafforzata dalla stretta collaborazione tra ricercatori e imprenditori: “Programmi di formazione su misura (personalized management training), miglioramento delle capacità marketing, business plan competitions, prestiti con una proroga sui pagamenti, instaurazione di collegamenti diretti tra i produttori africani e i distributori di Paesi ad alto reddito sono tutti meccanismi capaci di comportare ricadute positive in un contesto rischioso come quello africano, in cui gli imprenditori non hanno accesso ai capitali, sono confrontati a una carenza delle infrastrutture e non possono contare su una formazione imprenditoriale”, ha specificato la direttrice scientifica del Leap, descrivendo i vari approcci sperimentali che possono contribuire a potenziare l’accesso al mercato e la crescita delle aziende in Africa, un Continente caratterizzato dalla microimprenditoria, con quasi la totalità delle aziende presenti nel territorio composte da meno di dieci lavoratori e a bassa produttività.
Un incontro, dunque, ricco di spunti e incentivi sia per l’Italia ad accrescere il proprio ruolo nel Continente, anche in vista delle nuove opportunità di affari che spunteranno per le aziende con l’imminente avvio dell’area africana di libero scambio (AfCFTA, African Continental Free Trade Area), sia per l’Africa che, come ha ricordato Ginevra Letizia, responsabile della sede Aics di Maputo, in Mozambico, dovrà mostrarsi “disposta a pagare il prezzo dell’utopia”, investendo sul proprio capitale umano, incrementando la produzione interna, creando posti di lavoro, costruendo città sostenibili e privilegiando settori chiavi, come la sanità e l’istruzione. [CN]